La riforma protestante

Pubblicato su Tempi nel giugno 1998, con lo stesso titolo qui usato

1. l'attuale stato del rapporto cattolicesimo/protestantesimo

Il giudizio che si dà su fatti del passato non è mai scindibile da un giudizio sul presente, e il presente nel Cristianesimo contemporaneo vede, a nostro parere positivamente, prevalere l'atteggiamento dell'ecumenismo, fortemente sostenuto dal Vaticano II, volto a creare delle condizioni di dialogo e possibilmente di riunione tra coloro che riconoscono Cristo come Figlio di Dio. Così, all'insegna del dialogo ecumenico, sono fiorite riletture cattoliche delle origini del protestantesimo, che mettono in luce le ragioni dei "Riformatori" e tendono in qualche modo ad attribuire alla stessa Chiesa cattolica una parte non irrilevante della responsabilità per tale grave frattura in seno alla Cristianità.

Tale non è stata, viceversa, la linea storiografica che a lungo ha campeggiato presso gli storici cattolici nel periodo preconciliare (come simmetricamente si deve dire della storiografia protestante nei confronti del cattolicesimo): basti il nome di Maritain, il quale rilegge l'episodio di Lutero in termini quanto mai taglienti, dipingendo un Lutero sgangherato e violento, nemico della ragione e campione di superbia.

Da qualche parte si è ora tentati di sostituire alla asprezza unilateralmente polemica del passato un irenismo appiattente, che sarebbe a ben vedere il peggior nemico del vero ecumenismo, perché mina alla radice lo stesso concetto di verità, come un che di determinato e di verbalmente esprimibile. Si tratta invece di ricostruire la vicenda della nascita del protestantesimo non senza attenzione alle possibili ragioni dei riformatori, ma senza abdicare all'esigenza di essere fedeli anzitutto alla verità totale, fuori della quale il dialogo non può essere davvero tale.

2. le radici del fenomeno protestante

Da un certo punto di vista il protestantesimo poteva al suo sorgere sembrare come una delle tante eresie, che avevano contrappuntato la storia del Cristianesimo, magari un'eresia particolarmente insidiosa e forte, ma che alla fine l'unica Chiesa di Cristo, quella che ha il suo fulcro nel successore di Pietro, avrebbe debellato, come aveva fatto con un'eresia pur forte e trionfante come per qualche tempo era stato l'arianesimo. È noto che invece le cose non andarono così: non si trovò il modo di far rientrare la nuova eresia, né mediante tentativi (peraltro esigui) di dialogo, né mediante la repressione, che un troppo incerto Carlo V, Sacro Romano Imperatore, esitò, per opportunità politica, ad attuare con un minimo di convinzione. Ma fu solo per l'assenza di repressione che il protestantesimo poté attecchire e radicarsi, o la debolezza dell'impeto repressivo non fu piuttosto una conseguenza della forza delle nuove idee, che si erano in breve guadagnate l'appoggio di un troppo vasto fronte di forze emergenti? È evidente che se il protestantesimo, invece di venire prontamente represso, si affermò in una estesa e fiorente area della Cristianità occidentale, fu perché veniva in qualche modo incontro a delle esigenze fortemente sentite, e diffuse in consistenti gruppi sociali. Vediamo di ricordare alcune di tali esigenze.

1. Anzitutto il protestantesimo dava una risposta alla nuova istanza di individualismo, che col tramonto del medioevo era venuta irrobustendosi sempre più. A una mentalità medioevale di stampo comunitario era andata sempre sostituendosi, almeno presso i ceti emergenti nella società rinascimentale, appunto una mentalità incentrata sull'individuo. Troviamo testimonianze di ciò ad esempio in campo artistico (col genere del ritratto, imperniato appunto sul volto dell'individuo), letterario (con la nuova importanza della soggettività), economico (con l'inizio del declino delle corporazioni, il diffondersi delle banche e del credito a interesse, con la sempre più esplicita legittimazione del valore del profitto individuale come movente dell'intrapresa economica). E il protestantesimo coronava tale aspirazione, "liberando" l'individuo, ora abilitato a leggere e interpretare direttamente la Sacra Scrittura, dalla sottomissione alla oggettività comunitaria della Chiesa visibile, coi suoi sacramenti e il suo autorevole magistero.

2. Un'altra esigenza che trovava risposta era quella delle nazionalità: cattolicesimo significava universalismo, sottomissione delle realtà particolari a un unico, universale, centro, Roma. Questo veniva facilmente accettato finchè, come nel medioevo, ci fu una debole coscienza nazionale, predominando invece un forte senso di appartenenza ad un'unica Cristianità (oggi diremmo all'Europa). Il dissolvimento della civiltà medioevale si accompagnò invece all'emergere degli stati nazionali, nuove entità istituzionali (intorno a cui si costituì tutta una nuova realtà culturale, sociale ed economica) che abbattevano al loro interno le differenze regionali tipiche del feudalesimo medioevale, e affievolivano sempre più la coscienza di una comune appartenenza sovranazionale. Il protestantesimo coronava tale aspirazione, "liberando" le nazioni dalla soggezione a poteri sovranazionali: d'ora in poi le Chiese sarebbero state "nazionali" e soggette al potere politico dello stato nazionale. Questo spiega anche perché diversi sovrani, da molti principi tedeschi ai Re scandinavi e al Re d'Inghilterra non si lasciarono sfuggire tale ghiotta occasione e trascinarono con sé intere nazioni lontano dal cattolicesimo e dalla fastidiosa visibilità di Roma.

3. Un'ultima istanza valorizzata, questa volta si potrebbe dire suo malgrado, dal protestantesimo era quella di una autonomia dell'ambito profano. La cultura rinascimentale aveva affermato questa istanza, per cui il sapere scientifico deve avere le sue leggi (Galileo soprattutto avrebbe esplicitato questa idea), l'economia le sue (abbiamo prima accennato alla legittimazione del profitto, svincolato da considerazioni etiche), la politica le sue (si veda Machiavelli). In generale si rivendica con sempre più forza l'autonomia della natura dalla grazia, dal soprannaturale: se il medioevo concepiva unitariamente, pur distinguendoli, tali due livelli, ora la sfera profana, naturale pretende di non rapportarsi più al soprannaturale e alla fede. Per cui la vita non è più vista come prova e passaggio verso un ulteriore, ma ha un valore in sé stessa; il mondo non più segno di Altro, teofania, ma è oggetto, in sé consistente; l'agire umano non è più bisognoso di un aiuto superiore per attuare la sua pienezza, ma attinge dalle proprie energie quanto basta (si veda quanto dice Montaigne sulla morte, da lui vista come un che di totalmente naturale). Il protestantesimo rispondeva di fatto anche a tale aspirazione, che pure in sé stessa era lontana dalle intenzioni, soprannaturalistiche, dei Riformatori. Vi rispondeva in quanto separava il problema della salvezza eterna da quello dell'agire mondano: quest'ultimo non è determinante ai fini di quella (infatti l'uomo non si salva, anche, in virtù delle sue opere, ma solo della sua fede) per le opere, l'agire nel mondo diventa così sganciato dal riferimento all'Eterno, e si trova a doversi regolare su parametri essenzialmente mondani.

Così, come ha evidenziato Weber, l'economico acquista una sua indipendenza dall'etico e dal religioso e il capitalismo può trovare una autorevole legittimazione; così in campo etico la cosiddetta istintività si trova a non essere più "giudicata" e l'uomo moderno può conoscere questa nuova trovata di una istintività "naturale" a cui può abbandonarsi senza problemi di coscienza.

Quanto abbiamo detto in questo numero sarà completato in un prossimo articolo, in cui entreremo nel merito della concezione protestante.